A un anno esatto dall'inizio dei fatti che hanno rivoluzionato la nostra quotidianità, abbiamo riunito qui altre quattro interviste ai membri del team L&L raccolte durante quel periodo.
Leggi le prime cinque interviste pubblicate.
That’s how the light gets in.
(Leonard Cohen)
C'è una crepa in tutto. È così che entra la luce (Leonard Cohen).
Abbiamo sbirciato tra le fessure di questo momento di rottura e abbiamo afferrato la luce che filtrava attraverso. Ne sono nate delle interviste ad alcuni membri del team L&L.
Alberto Danese, consulenza illuminotecnica
Il tuo è uno dei profili più digitali dell'azienda, verrebbe da pensare che il tuo lavoro non abbia subìto forti contraccolpi con l’inizio dell’emergenza sanitaria, è così?
In occasione del mio secondo personalissimo lockdown, visto che il virus è venuto a trovarci a casa, ho rispolverato la mia postazione domestica. Un ampio monitor e il collegamento remoto al pc aziendale mi hanno consentito piena operatività, mentre gli strumenti di comunicazione digitale (whatsapp e skype in primis) mi hanno tenuto in contatto sia con i colleghi d'ufficio che con i partner sul territorio.
La velocità di risposta è una priorità e tremo al solo pensiero di un fermo totale di dieci o più giorni.
Il mio compito in azienda è dare supporto illuminotecnico ai progettisti che scelgono L&L per le loro realizzazioni, quindi utilizzo frequentemente il nostro sito web per consultare e condividere info e documentazione tecnica con i miei interlocutori.
In tempi non troppo lontani avrei dovuto farmi spedire il catalogo a casa!
Una buona abitudine che hai iniziato in quarantena e ora porti avanti?
Fare un colpo di telefono fuori orario ai colleghi. In ufficio c'è un'ottima intesa, quindi la lontananza ha prodotto un naturale desiderio di fare due chiacchiere e al semplice "Ciao, come va?" seguivano dialoghi che spaziavo dalla condivisione di ricette per la cena fino ad argomenti di lavoro, in fondo siamo accomunati dalla stessa passione e ci piace quello che facciamo.
C’è qualche risvolto del tuo lavoro di cui ti piacerebbe parlare?
Ricevo molta documentazione fotografica relativamente alle richieste di consulenza, mi piace viaggiare ma sono anche timoroso di partire all'avventura. Tramite quegli scatti riesco a vedere edifici storici e parchi, ma anche chiese e negozi da ogni parte del mondo.
Poi spesso arrivano anche le immagini dei progetti realizzati, è sempre una soddisfazione vedere all'opera incassi, proiettori e applique che escono dal nostro stabilimento e che talvolta ho avuto occasione di visionare personalmente prima della spedizione.
Lucia Capparotto, assemblaggio
Da marzo 2020 si sono succedute diverse fasi di emergenza. La tua quotidianità al lavoro come è cambiata in questi mesi?
Nella mia postazione personale, al reparto assemblaggio, lavoro già distanziata dai colleghi quindi non ho sentito un cambiamento sostanziale imposto dalle regole anti-covid.
Una sensazione nuova però l’ho provata: al momento della ripartenza lavoravamo in pochi nel reparto produzione e mi è subito sembrato di tornare indietro di tredici anni, quando L&L era appena nata e noi eravamo un piccolissimo team. Quando si è in pochi le occasioni di confronto e di conoscenza sono inevitabilmente maggiori.
Quanto accaduto dunque ti ha dato degli spunti di riflessione per quanto riguarda il tuo lavoro?
Sì, dicevo prima che lavorare in pochi favorisce maggiormente la comunicazione e il confronto sulle problematiche lavorative, ma anche sui processi che portano a determinate scelte. Mai come in questo periodo mi sono ritrovata a pensare ai modi con cui si potrebbe ricreare questa forte sinergia anche nei team più grandi.
C’è qualche protocollo particolarmente invasivo che non vedi l’ora di abbandonare quando tutto questo sarà finito? O un’abitudine lavorativa che hai dovuto sospendere per rispettare i protocolli?
Per me il contatto fisico è un elemento molto importante, lo trovo un gesto pieno di umanità e che, a volte, vale più di mille discorsi. Non poter interagire in questo modo, sia nella vita personale sia nella vita lavorativa, è per me un forte impedimento. Non vedo l’ora di abbracciare e baciare un collega per il suo compleanno o sostenerlo in questo modo in uno dei momenti tristi che la vita ci riserva. E, naturalmente, non vedo l’ora di levare la mascherina!
Una domanda uguale per tutti: una buona abitudine che hai iniziato in quarantena e porti ancora avanti?
Faccio molta più attività fisica di prima, non rinuncio più alla mia passeggiata serale, mi serve per staccare e ricaricarmi mentalmente e fisicamente. E poi ho ritrovato la passione per il giardinaggio oltre che la capacità di dedicare più tempo a me stessa.
Monica D’Emidio, responsabile comunicazione
Chiunque stesse lavorando a un evento nel 2020 prima dello scoppio dell'emergenza sanitaria, ha provato delusione e impotenza dovute alle cancellazioni che si sono susseguite. Ci racconti come questo si è riflesso sulla comunicazione aziendale?
A inizio marzo guardavo il piano editoriale dedicato alla nostra partecipazione alla fiera Light+Building (prima posticipata e poi annullata) come fosse un cassetto da non aprire. Ci lavoravo da 8 mesi, era pianificato in ogni dettaglio, non poteva svanire tutto così. Invece sì, poteva, senza neanche permettermi di “elaborare il lutto” perché c’era da riprendere accordi con tutti, spostare le campagne già programmate, salvare il salvabile. Superata questa prima fase, c’è voluto un po’ per raccogliere le energie.
La prima “reazione comunicativa” è stata la ricostruzione del senso di comunità, per reagire al distanziamento sociale. Un piccolo gesto, che ha preso le mosse da una bella iniziativa di Apil (Associazione Professionisti dell'Illuminazione) che abbiamo deciso di abbracciare e diffondere: #dontstopthelight. Era quello di cui avevamo bisogno, un pretesto per sentirci vicini tra noi come colleghi, sentirci vicini ai nostri interlocutori, i professionisti della luce, e comunicare ai clienti lontani che stavamo bene e che la luce non si era spenta, vibrava dalle finestre di casa.
Ricordo con grande emozione il momento in cui ho messo assieme tutte le foto ricevute dai colleghi e le ho sfogliate.
Per non parlare del senso di appartenenza quando ho cliccato sull’hashtag e ho visto l’energia vibrante di tanti altri appassionati di luce come noi nel mondo.
Quello è stato il momento in cui mi sono rimessa in piedi. La potenza della community.
Parlando di community, che riflessi ha avuto tutto ciò sulla comunicazione social?
In una parola: empatia. Quella comunicazione mi aveva portato su un altro livello, quello del qui e ora, lontano da qualsiasi piano editoriale ormai da buttare. Ho iniziato a pensare in ottica real time marketing, io per prima sentivo il bisogno di creare un contenuto in cui i nostri interlocutori potessero ritrovarsi adesso. Tutto quello che comunicavo di solito era improvvisamente fuori contesto: nuovi prodotti, nuove referenze e (immaginarsi!) gli eventi. Ho pensato di iniziare a usare un tono più diretto, di toccare corde diverse.
Dopo 57 giorni gli italiani possono di nuovo uscire fare una passeggiata? “Ci piace immaginarci i nostri paletti che illuminano i sentieri nei giardini, parchi e piazze dove da stasera qualcuno più di ieri si sgranchirà le gambe facendo due passi”.
Il governo consente le visite ai congiunti? Abbiamo immaginato un piccolo giro di visite ai nostri prodotti più famosi come se fossero degli affetti stabili e ne abbiamo disegnato le personalità.
E così via, ci siamo lasciati ispirare di volta in volta, dalla celebrazione della Repubblica agli esami di maturità, pubblicando su Facebook e Instagram dei viaggi illustrati, fatti non solo di progetti, prodotti, ma soprattutto di sensazioni ritrovate.
La difficoltà più grande?
Tutte le aziende, di qualsiasi settore e grandezza si sono trovate con la stessa urgenza condivisa di comunicare gli stessi messaggi: ne usciremo, siamo insieme in tutto questo, abbiamo riaperto con restrizioni, grazie a chi continua a lavorare ogni giorno, grazie a tutti voi, una nuova normalità, ripartiamo insieme ecc.
E’ stato difficile non cedere alle pressioni dell’urgenza e trovare una strada nostra, per quanto possibile lontana dai cliché e fatta della materia che ci appartiene, la luce.
Una buona abitudine che hai iniziato in quarantena e ora porti avanti?
Per questa risposta, invece, entro nel cliché con tutti e due i piedi :)
Nel momento di difficoltà possono nascere le migliori opportunità, niente di più vero. Ho ripreso la formazione professionale e sto frequentando un master di social media marketing. Non potevo fare una scelta migliore per me stessa, studiare mi ha ricaricato le pile al massimo, non smetterò più di farlo.
Francesco Sattin, responsabile acquisti
Occupandoti degli acquisti, avrai avuto molte occasioni di confrontarti con i tuoi interlocutori su come l'emergenza abbia influito sulle tempistiche di approvvigionamento dei materiali grezzi e della componentistica. Come sei riuscito a fronteggiare questa variabile nel tuo lavoro?
Ciò che è successo l'anno scorso è purtroppo ancora molto attuale. Essendo il nostro settore saldamente collegato al mondo dell'elettronica abbiamo iniziato a capire che c'erano problemi nei paesi orientali, in cui le multinazionali del settore producono tutta la componentistica, quando abbiamo avuto le prime notizie di difficoltà e ritardi su date di consegna già confermate.
Questi segnali ci hanno permesso di capire prontamente la gravità del problema e grazie alla solidità finanziaria della nostra azienda ci siamo preparati all'onda lunga in arrivo in Italia costituendo un cuscinetto di magazzino che ci ha permesso di affrontare il periodo chiave con una serie di problemi già gestiti a monte.
Non voglio dire che non abbiamo avuto intoppi, ma grazie a questa attività li abbiamo seriamente mitigati per evitare di ribaltarli sui nostri clienti.
Quanto ha influito la filiera locale/regionale sul rifornimento del materiale a magazzino per la produzione?
Moltissimo. Avere fornitori europei, per la maggior parte italiani e percentualmente molto localizzati nella nostra area ci ha permesso di slegarci da vari problemi logistici, tra cui non ultimo il fatto di avere fronteggiato il picco dell'emergenza un po' tutti nello stesso momento, non con chiusure in tempi diversi che avrebbero concesso solo forniture a singhiozzo.
Già all'inizio dell'emergenza sanitaria ci siamo seriamente adattati ai dispositivi e agli usi e costumi necessari alla non contaminazione, poi, una volta dichiarato il lockdown governativo, abbiamo iniziato a lavorare parzialmente in presenza. La produzione era fisicamente attiva in azienda per assemblare e spedire, mentre tutta la parte commerciale, tecnica, di marketing e di approvvigionamento, invece, veniva svolta in smartworking. I nostri fornitori, in momenti successivi, sono rientrati in attività come facenti parte anch'essi della filiera permessa. Alcuni, però, hanno riaperto solo a maggio.
Siamo riusciti a gestire un mese e mezzo di produzione grazie al magazzino e all'organizzazione. E anche grazie all'elasticità della nostra filiera. Ricordo ancora, in particolare, la difficoltà e la paura percepita dai fornitori dell'area lombarda, alcuni anche personalmente colpiti dagli eventi del covid, una volta arrivato il virus in Italia.
Nelle telefonate che facevo nel silenzio assoluto di quei giorni lavorati da casa, anziché nel movimentato e frizzante ambiente di lavoro abituale, percepivo grande scoramento per la situazione ma anche voglia di affrontare insieme i problemi. È stato un periodo molto formativo.
Una domanda uguale per tutti: una buona abitudine che hai iniziato nel primo lockdown e porti ancora avanti?
Nel lockdown ho imparato, come mezza Italia, a fare la pizza in casa. Ho letto parecchio, ho condiviso tanto tempo con la famiglia, e, cosa incredibile, ho perfino guardato qualche film. Poi ho terminato la scrittura di un libro, pubblicato da Echos editore e disponibile nei maggiori siti di vendita on line.
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Le interviste al team di L&L continuano!
In copertina: Arnaldo Pomodoro, Sfera con Sfera, 1963. Foto: Peter Brown (CC by 2.0)