A conclusione di un lungo intervento di restauro, lo studio Lucearchitettura di Verona ha progettato la nuova illuminazione dell’Ipogeo di Santa Maria in Stelle. Approfondiamo le riflessioni che stanno alla base del concept illuminotecnico con le parole delle lighting designer Cinzia Todeschini e Lorella Marconi.
Lo stato dell'arte
L’Ipogeo di Santa Maria in Stelle è un contenitore di vicende storiche che si succedono e si sovrappongono; il nostro obiettivo è stato raccontarle con l’aiuto della luce; basandoci su questo concetto, abbiamo pensato delle scene luminose per ogni ambiente, rispettando la cronologia degli interventi ed evidenziando dettagli e contenuti che ne suggeriscono la narrazione.
La prima volta che siamo entrate all’ipogeo di Santa Maria in Stelle, l’abbiamo fatto con atteggiamento molto analitico. Questa esperienza conoscitiva ci ha permesso di capire fino in fondo la magnificenza e l’importanza dell’opera che siamo state chiamate a illuminare.
Essendo state incaricate del nuovo progetto di illuminazione, avevamo il duplice scopo di raccogliere quante più informazioni possibili sul luogo e valutare la distribuzione, le posizioni e la tipologia del vecchio impianto. Il vecchio impianto d’illuminazione prevedeva un’unica accensione che svelava tutto fin da subito, creando smarrimento nei visitatori che iniziavano a muoversi senza una precisa direzione. Le guide che accompagnavano i visitatori potevano contare solo su sé stesse per catalizzare la loro attenzione.
Ciò che è parso molto chiaro sin da subito è lo scopo puramente funzionale del vecchio impianto. Sia in termini di posizione dei corpi illuminanti, sia in termini di qualità della luce, nulla faceva pensare ad un intervento studiato per esaltare l’ambiente circostante.
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Abbiamo osservato la morfologia del luogo, valutato altezze e dimensioni degli spazi, e ci siamo rese conto che, dopo aver lasciato l’ingresso, si perdeva completamente il contatto con l’esterno e si iniziava a percepire la grande concentrazione di umidità presente nell’aria, l’odore della terra e il rumore dell’acqua, la luce diminuiva e si era avvolti dall’insieme degli elementi. Solo successivamente l’occhio iniziava, con grande sforzo, a percepire gli ambienti e i dettagli.
Alla fine di un lungo periodo di ascolto e interiorizzazione del luogo, il progetto è nato con naturalezza.
L'ingresso ottocentesco
L’ illuminazione della scala dell’ingresso Ottocentesco era costituita da un’unica lampada stagna posta centralmente sulla volta che sovrasta i gradini. La posizione all’altezza dell’occhio del visitatore creava un forte abbagliamento che, invece di aiutare chi scendeva ad abituarsi al buio, aumentava la sensazione di insicurezza che pervade chi passa da un ambiente molto illuminato ad un ambiente con poca luce.
La nostra idea progettuale si è espressa nell’illuminazione artificiale indiretta della volta che si miscela con la luce naturale sui gradini. Per aumentare il senso di sicurezza si è deciso di illuminare contestualmente la statua di Publio Pomponio, posta in verticale frontalmente al punto di arrivo della scala, con un proiettore con ottica ellittica. Avremmo potuto scegliere di illuminare la scultura in un secondo momento, una volta che i visitatori fossero scesi, ma questo non avrebbe aiutato entrare serenamente nell’ambiente sotterraneo.
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L'architrave
Nell’antico ingresso il vecchio impianto di illuminazione prevedeva una luce fredda, di qualità scadente, proveniente da un unico punto posizionato in alto, un’emissione diffusa che non valorizzava i singoli elementi.
L’importante architrave con iscrizione latina, ad esempio, passava quasi inosservata, senza il richiamo verbale della guida. Infatti, l’illuminazione del condotto che si presentava già accesa invogliava ad attraversarlo per arrivare al cuore dell’Ipogeo tralasciando molti elementi degni di nota. Con il nostro intervento abbiamo voluto indirizzare subito lo sguardo dell’osservatore sull’architrave, mentre il proseguo del condotto viene svelato solo successivamente.
Un fascio di luce proiettato sulla parete nord e che morbidamente si posa sulla parte destra della volta a botte dell’antico ingresso e illumina l’architrave. Questo gesto luminoso conduce il visitatore, senza timore, all’interno del nuovo ambiente, indica la direzione del successivo percorso e alimenta l’aspettativa del dopo.
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Il condotto
Nel condotto, il Chrismon (ndr incisione che riproduce la croce mono-grammatica paleocristiana) non era visibile in precedenza. La luce, diffusa e giallastra, non era direzionata: per vederlo era necessario oscurare una lampada a parete e poi, con una torcia, avvicinarsi di scorcio per poter cogliere le scalfitture sull’intonaco. Non potevamo in alcun modo operare con la luce dallo stesso lato dell’incisione a causa delle restrizioni imposte dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, che ci ha concesso di utilizzare soltanto i punti di fissaggio del vecchio impianto a vista. Abbiamo quindi ripensato l’illuminazione dell’intero condotto.
Si è scelto di utilizzare una luce continua, orientata verso il basso, che sottolineasse in modo lieve il percorso lasciando volutamente in penombra la parete di fronte dove si trova l’incisione. Quest’illuminazione soffusa induce i presenti ad una sorta di raccoglimento per prepararli al passaggio dalla zona pagana agli spazi dedicati alla catechesi cristiana. Il Chrismon diventa leggibile con l’azione di un proiettore che crea un fascio di luce radente e viene attivato dalla guida soltanto quando le persone sono in prossimità dell’incisione.
Se avessimo illuminato indistintamente il condotto, anche solo con l’intento di non generare ansie in chi lo doveva percorrere, sarebbe stato molto difficile far emergere le preziose incisioni, senza considerare il fatto che si sarebbe perduto completamente il senso di attesa e coinvolgimento.
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L'atrio
Ripercorrendo idealmente la nostra prima visita all’ipogeo, quando siamo entrate nell’atrio, abbiamo capito di non avere molto spazio a disposizione e molte possibilità di intervento. Su ogni lato si aprono varchi ad arco di diversa dimensione e tutte le pareti sono affrescate, compresa la volta. Il pavimento è costituito da una griglia ispezionabile sotto alla quale scorre l’acqua della fonte, incanalata in tubazioni di recente intervento per evitare il riproporsi di allagamenti come accaduto in passato.
Si tratta del primo ambiente dell’Ipogeo in cui sono visibili gli affreschi, databili intorno alla fine del IV sec d.C., e questo avviene dopo aver percorso con la testa china i 18 m del condotto: oltre a far fare un sospiro di sollievo per la ritrovata altezza, crea un grande stupore.
Proprio nell’atrio si coglie, meglio di ogni altro punto dell’ipogeo, la natura ingegneristica del luogo, grazie al gorgoglio dell’acqua che scorre in lontananza. Ci siamo trovate d’accordo sull’importanza di sottolineare questo aspetto prima di ammirare le scene affrescate. Ecco perché la scelta di utilizzare una luce blu, orientata verso la parte di condotto non visitabile che porta alla fonte, mantenendo tutto il resto quasi completamente al buio.
Dopo aver fatto vivere questa esperienza al visitatore, è giunto il momento di scoprire gli affreschi.
Possiamo senza dubbio affermare che questo è stato l’ambiente più difficile da illuminare. Le difficoltà erano dovute alle ridotte dimensioni di questo spazio e al fatto che ogni porzione di muro è affrescata. Sapevamo che, in qualsiasi punto avessimo posizionato gli apparecchi, avremmo creato ombre, abbagliamenti o celato parti di decorazione pittorica. Dopo lunga riflessione e, soprattutto, dopo aver escluso di poter illuminare dall’alto, in quanto importantissimo dal nostro punto di vista poter alzare lo sguardo in questo ambiente, abbiamo deciso di posizionare quattro supporti minimali per i proiettori, nei quattro angoli in cui, un tempo, c’erano delle sedute di pietra, il cui schienale raggiungeva circa un metro di altezza, motivo per cui, ad oggi, questa è l’unica porzione di muro non affrescata.
Su ogni piantana sono posizionati due proiettori con ottiche e temperatura di colore diverse che, orientati verso l’alto, fanno emergere dettagli e profili inediti. Il visitatore, posizionandosi al di sotto degli archi più grandi d’ingresso alle celle nord e sud, riesce a scorgere l’intero volume dell’atrio senza interferenze con i fasci luminosi, aiutato anche dagli accessori a cannocchiale posti frontalmente agli apparecchi con ottica rotosimmetrica. I proiettori hanno una intensità luminosa calibrata e, grazie all’utilizzo di due temperature di colore, 3000K e 4000K, fanno affiorare contemporaneamente sia i colori caldi sia quelli freddi.
Le celle
Fulcro dell’Ipogeo sono le due celle con accesso dall’atrio, la cella sud e la cella nord. Quando si entra in queste sale manca il respiro: una forza espressiva fortissima che emoziona e coinvolge.
Anche qui, abbiamo trovato problemi simili a quelli riscontrati nell’atrio ma con l’aggravante delle maggiori dimensioni degli ambienti, che rendevano necessario un continuo spostamento delle vecchie piantane, un intralcio per i visitatori e un rischio di danneggiare le pareti e gli affreschi durante le movimentazioni.
Data la complessità e la quantità dei contenuti, abbiamo pensato di impostare più scene luminose per dare la possibilità al visitatore di entrare in sicurezza, ammirare da vicino i magnifici affreschi e permettere agli accompagnatori di illustrare e spiegare il tutto seguendo, con filo logico, le sequenze temporali con cui è stato realizzato.
Per fare questo non potevamo lavorare da una posizione sospesa, così abbiamo scelto di progettare delle lampade da terra che contenessero gran parte degli apparecchi necessari all’illuminazione completa delle due celle. Abbiamo deciso, dopo molti test sul posto, di posizionarle circa a metà delle due celle, in corrispondenza di un piccolo allargamento delle stesse dovuto all’innesto tra il catino absidale e la volta a botte dell’ingresso.
La posizione scelta è stata molto importante perché ci ha anche aiutato a trovare la forma delle piantane. Il design di quest’ultime nasce infatti dalla decorazione pittorica che si trova alle loro spalle. Si tratta di un profilo rettangolare, forato nel mezzo, con proporzioni geometriche simili a quelle della parasta affrescata sul retro, con altezza corrispondente alla cornice decorativa che divide le storie della catechesi dal motivo a tubi fittili della volta. Obiettivo primario per noi è stato quello della loro massima integrazione stilistica e del minor impatto visivo possibile. Grazie all’utilizzo di questi supporti abbiamo potuto illuminare gli elementi decorativi con la massima flessibilità.
Solo alla fine, una volta compreso il valore di ogni singolo elemento, si aziona la scena finale che prevede l’illuminazione generale degli ambienti.